La mia mappa d’autore

Nell’inserto Il Piccolo Libri, che esce il sabato con il quotidiano Il Piccolo in collaborazione con TuttoLibri, c’è una rubrica intitolata “Mappa d’autore” in cui viene chiesto a chi scrive di raccontare una via o un posto di Trieste attraverso la sua esperienza. Io ho parlato di Villa Giulia ricordando alcuni episodi della mia infanzia. Ho ricevuto molti messaggi di apprezzamento per il testo, il più gradito quello di mio padre: “Mi sono commosso: è sempre opera tua ma colorata e concentrata.” Riporto qui l’articolo.

Corrado Premuda

NEL BOSCO DI VILLA GIULIA LA FANTASIA SI TRASFORMA IN AMORE PER IL TEATRO

Il Piccolo Libri, Il Piccolo, 5 giugno 2021

Il soffice terreno artificiale della mia camera si presta volentieri a ospitare gli innumerevoli mattoncini Lego, le macchinine colorate e gli immancabili Puffi. La moquette sembra un prato su cui è piacevole sedersi e distendersi e poi far partire l’immaginazione che ogni gioco di bambino comporta. La fantasia non può che essere di casa in una stanza che ha il pavimento di moquette blu. Ma quando sposto i miei “autini” sotto un vero albero e tra le luci speciali della natura, le avventure assumono contorni e spessore diversi, più intensi, senza bisogno di magia. Nel parco di Villa Giulia saliamo in fila indiana, a due a due tenendoci per mano. Grembiulini blu e grembiulini rosa che procedono sul marciapiedi e in testa alla processione una donna in bianco e nero. La scuola elementare sta a metà di via Monte San Gabriele e ha un bel giardino su due livelli con piante, fiori e cespugli, ma non è niente in confronto al parco pieno di querce, lecci, alloro. La nostra maestra è una suora e anche se non è più giovanissima ha una passione per le passeggiate e per le attività all’aria aperta: in autunno ci fa arrampicare fino a Villa Giulia per raccogliere le bellissime foglie rosse di sommaco con cui in classe realizzeremo disegni e collage. Tra le radici e l’erba, dove creo piste incredibili per la mia piccola quattroruote, spuntano insetti che sulla moquette della camera non potrei mai incontrare. Formiche, lumache e lombrichi svolgono le loro attività incuranti delle mani bambine che spostano, tastano, esplorano. Poi sul nostro foglio bianco disegneremo un personalissimo prato, popolato da un mondo brulicante su cui fantastichiamo senza fine. Tra i soggetti più ricorrenti ricordo curiose chiocciole dalle più bizzarre capigliature e pigri vermi provvisti di bombetta intenti a fumare, personaggi ironici che discutevano tra loro e si lanciavano in scorribande all’ombra di un abete. A pensarci oggi il rimando agli irriverenti fumetti di Jacovitti mi sembra evidente ma chissà se a quel tempo i miei occhi si erano già nutriti, magari casualmente, delle immagini del papà di Cocco Bill.

“Guardate lì in alto: uno scoiattolo!”, sussurra la Suor Maestra indicando una coda che saltella tra i rami e tentando di non spaventare l’animaletto. L’apparizione del piccolo roditore aveva rivoluzionato la mia vita: mi impegnavo a fissare ogni albero che mi capitava a tiro e anche durante le lezioni l’attenzione era rivolta alle avvincenti attività in opera nella natura fronduta appena oltre il vetro della finestra. La gioia più grande avvenne in seconda elementare, in occasione della recita scolastica di fine anno: la classe avrebbe messo in scena un complesso spettacolo fatto di dialoghi, azioni e danza e io avrei interpretato la parte di uno scoiattolo, il protagonista della storia. Da fumettista ad attore: si è tante cose diverse durante l’infanzia. Per tutti noi era la fantasia che diventava realtà trasformandoci negli animaletti di Villa Giulia che amavamo. La vicenda ruotava intorno a un prato che d’inverno teme di congelare per il freddo. Il manto erboso interpella il saggio albero che chiama in aiuto uno scoiattolo al quale viene l’idea di coinvolgere lucciole, ragni, corvi, e infine un’astuta volpe, per tentare di creare una calda protezione che conservi il verde della radura. Mentre la maggior dei miei compagni era impegnata in movimenti muti sulle note delle arie delle “Quattro stagioni” di Vivaldi, io avevo moltissime battute che memorizzavo la sera a letto con l’aiuto di mia madre munita di copione. Ero molto orgoglioso del mio costume, in particolare della coda di peluche, con cui era praticamente impossibile sedersi, e mi impegnavo a fondo nel tentativo di imitare gli scoiattoli del parco facendo, con simulata leggerezza, le capriole sull’erba e sui fiori niente affatto morbidi ricostruiti in carta sopra al legno del palcoscenico.

L’amore per il teatro era scoppiato una mattina di sole in cui la Suor Maestra ci aveva portati in centro, nell’auditorium di via Torbandena che sarebbe stato presto chiuso. Sempre in rigorosa fila, ognuno per mano ad un compagno, avevamo varcato la soglia della sala lasciandoci il cielo luminoso alle spalle e immergendoci in un mondo buio e ovattato, con l’aria ferma e il rosso misterioso delle pesanti tende di velluto. I gridolini che accompagnano sempre le situazioni inaspettate per i bambini si erano tramutati in silenzio non appena lo spettacolo era cominciato. In scena ecco le magnifiche marionette di Podrecca impegnate nel capolavoro musicale di Prokofiev “Pierino e il lupo”. L’avventura del piccolo cacciatore e dei suoi amici animali nel tentativo di sfuggire alla pericolosa belva ci aveva incollati alle poltrone e sul finale un incidente aveva reso indimenticabile la matinée: nel momento in cui Pierino con astuzia riesce a catturare il lupo, il cappio della corda, calato da uno dei manipolatori della compagnia, non aveva trovato la coda della bestia e aveva fallito la missione mentre la voce registrata di Tino Carraro continuava a esaltare la bravura del protagonista. La discrepanza tra l’azione dei pupazzi e la narrazione della storia aveva infiammato la mia smania di conoscere lo svelamento che sta dietro i racconti e aveva turbato la prima prova da spettatore che io ricordi. Ero tornato nel bosco di Villa Giulia pensieroso e con le mani in tasca, come chi cerca riparo dalla propria infanzia.

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