Intervista a Milo Manara

Nel mio lavoro di giornalista a volte mi capita di realizzare interviste di cui vado particolarmente fiero. Il merito, in questi casi, è dell’interlocutore che trovo interessante e piacevole, una persona che ha qualcosa da raccontare e sa farlo nel modo giusto. Di recente mi sono imbattuto in Milo Manara e quella che segue è la conversazione tra di noi per il quotidiano Il Piccolo.

Corrado Premuda

MANARA: “LA SCOPERTA DEL FUMETTO? UN BEL CAPITAN FRACASSA ALLEGATO ALLA MEGNESIA”

Il Piccolo Libri, Il Piccolo, 12 giugno 2021

Milo Manara si dice entusiasta dell’allestimento della sua mostra “Manara Secret Gardens” allestita al PAFF! di Pordenone. Ne apprezza il taglio particolare che unisce il fantastico e l’avventura presenti nelle sue opere ed è felice che questo evento segni la riapertura dello spazio pordenonese ai visitatori. Cinquant’anni di carriera sono un traguardo importante. Dice Manara: “Ovviamente ciò mi fa sentire vecchio! Ma poi, guardandomi indietro e considerando tutto quello che ho potuto raccontare ed esplorare disegnando, e tutte le persone interessanti che ho potuto incrociare grazie la mio lavoro, non posso che pensare di essere stato davvero fortunato. Non solo per i risultati della mia carriera ma soprattutto per la possibilità di fare come mestiere quello che mi piace di più: disegnare.”

Da bambino che libri e fumetti amava?

Devo dire che da piccolo non ho letto molti fumetti. Erano proibiti da mia madre che, da brava maestra dell’epoca, li trovava diseducativi perché pensava che i ragazzi preferissero le figure ai testi. I primi fumetti che mi sono capitati tra le mani, quando avevo già una decina d’anni, erano strisce spillate in piccoli fascicoli, riduzioni a fumetti di celebri romanzi regalate assieme alle confezioni di Magnesia San Pellegrino. Ricordo “Il Capitan Fracassa”, un piccolo albo disegnato benissimo chissà da chi, forse da Rino Albertarelli. Ho indagato invano nel corso del tempo. Figuriamoci se, all’epoca, scrivevano i nomi dei disegnatori di fumetti. Questo per dire la scarsa considerazione di cui godevano. Come avrei sperimentato in prima persona, anni dopo, era un mestiere di cui loro stessi si vergognavano. Poi, per molto tempo, la mia immaginazione si è nutrita solo di libri e romanzi. Il mio amore per l’avventura è cominciato fra i libri di Salgari e i classici di Dickens e Kipling. I fumetti li avrei ritrovati molti anni dopo, a casa di uno scultore di cui ero assistente ai tempi dell’università, e non li avrei più lasciati.

Quando disegna tiene conto del fatto che molti suoi disegni entrano nella fantasia erotica dei lettori?

Non davvero. È ovvio che so benissimo che la maggior parte dei lettori si aspetta da me un certo tipo di disegno o di presenza dell’erotismo ma cerco di non ammiccare per forza, perlomeno non più. Il mio lavoro ha sempre avuto due facce. Una confessionale, diciamo, e una professionale. Da una parte ci sono opere in cui esprimo e racconto me stesso, nate per mia volontà, in cui stabilisco un rapporto più intimo con il lettore, poi ci sono i lavori su commissione, svolti da professionista, quando l’idea di partenza non è mia ma devo soddisfare una precisa richiesta. Allora mi adatto alle esigenze del lavoro ma allo stesso tempo il lavoro diventa mio, mi rispecchia.

Fellini, Pratt, Almodóvar, Jodorowsky, Gaiman. Sono tanti i grandi con cui ha collaborato.

I primi due sono stati profonde amicizie che mi hanno accompagnato per molti anni nella mia vita. Fellini era un po’ il mio padre spirituale, anche per una questione di età, mentre Hugo Pratt lo posso considerare il mio fratello maggiore, anche se in realtà io l’ho sempre considerato, e chiamato, il mio Maestro. Con Almodóvar ho lavorato, eppure non l’ho mai incontrato. Con Jodorowsky, che ho incontrato spesso in Francia e in Italia, e con Neil Gaiman ho avuto un ottimo rapporto professionale, sono due sceneggiatori eccezionali e lavorare con loro è stato un vero piacere, sia umanamente che dal punto di vista del disegnatore.

In mostra c’è anche il suo primo fumetto “Alessio il borghese rivoluzionario” del ’77…

A Milano frequentavo autori stimolanti come il gruppo Arcoquattro, di cui faceva parte Guido Scarabottolo, detto Bau, uno dei più brillanti illustratori italiani. Un gruppo di amici, così colti e impegnati, che mi ha fatto davvero bene.

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