Il Canzoniere di Saba, cento anni dopo

Alcune delle definizioni e delle immagini più precise di Trieste le ha fornite Umberto Saba e a lui la città adriatica deve una grossa fetta della sua fortuna letteraria. Cento anni fa Saba completava il Canzoniere, capolavoro della poesia italiana. In occasione di questo anniversario Simone Volpato, editore e libraio, ha ideato e curato una preziosa pubblicazione a tiratura limitata intitolata “Il Canzoniere 1921-2021”. Edita da Libreria Antiquaria Drogheria 28 e da 517 San Vito Studio d’Arte e Design, la plaquette contiene tre poesie di Umberto Saba, alcuni acquerelli di Gastone Bianchi e la mia prefazione.

Condivido il testo coi lettori del blog.

Corrado Premuda

INTORNO BIANCO, AL CENTRO TRIESTE

prefazione di “Il Canzoniere 1921-2021” di Umberto Saba

È una Trieste lontana e piacevolmente sfocata quella che esce dai versi di Umberto Saba. Quella città nuova che il poeta vede dinamica e moderna, in trasformazione, sempre meno stretta tra il mare e il Carso, tutta un’evoluzione, a noi sembra piccola e lontana, antica, l’apparizione attraverso il visore stereoscopico di plastica che permette di mettere a fuoco remote diapositive e con un clic del nostro dito si passa all’immagine seguente. La proiezione di qualcosa che non è più con noi. Saba sigla le sue creazioni da una stanza privilegiata che è insieme rifugio e base per partire verso una serie di esplorazioni e viaggi e quello spazio interiore può aderire, ad esempio, con il posto più amato dai triestini di ieri e di oggi, il molo Audace, dito di terra allungato nell’Adriatico, da cui si salpa sempre anche restando seduti su una bitta mentre nel cielo infuria la bora. Per lui, che coi suoi occhi ha visto scomparire case e stradine del ghetto ebraico dell’infanzia, tutta la città – che poi è il suo mondo – può essere racchiusa in tre vie, simbolicamente cardo e decumano per la lunghezza di un figlio d’antologia.

È la Trieste degli affetti, della nostalgia, dell’osservazione della vita degli altri e assume le sue tinte, i contorni propri del poeta, un campionario di quadri dai contorni acquosi come arrivassero confusi da dietro il fumo della sua leggendaria pipa. Ben intuisce questa visione sentimentale di Saba Gastone Bianchi che coi suoi acquerelli lascia il bianco intorno e al centro pone le immagini, macchie che ricordano qua e là Trieste, come i grappoli di parole nel foglio bianco. Per illustrare i versi del Canzoniere non si può che procedere in punta di piedi, di sottrazione, incerti se osare troppo colore, per evitare di parlare più forte del poeta, per non alterarne la voce, per scongiurare di irritarne l’impossibile carattere. Scontroso come la sua città, Saba non deludeva gli ammiratori intimoriti e attratti dalla sua enigmaticità. Nell’estate del 1932 una giovane Leonor Fini arriva in vacanza da Parigi con gli amici Henri Cartier-Bresson e André Pieyre de Mandiargues: mentre il primo fotografa l’Adriatico e gli stabilimenti balneari, il secondo vuole conoscere il poeta. Leonor porta l’aspirante scrittore nella biblioteca di Saba: bussano, entrano, vorrebbero parlargli ma lui sta mangiando una fetta d’anguria e, disturbato, esibisce tutto il suo malumore. Come una vecchia cartolina: il contorno bianco e al centro dei neri svolazzi.

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