Il clima invernale e i giorni che precedono il Natale mi hanno ispirato, anni fa, questo breve racconto che fa parte di un progetto inedito intitolato “Capogiro”.
Condivido il testo coi lettori del mio blog augurando buone feste.
Corrado Premuda
LA MIA SCIARPA ED IO
da “Capogiro”
“Il matto non dava segni di vita…”
Dopo una fitta nevicata le strade sono completamente imbiancate. Per raggiungere la casa della natività la mia sciarpa ed io abbiamo vagato in un candore irreale e ovattato: riflessi insolitamente chiari e lucenti, niente automobili, odore di umidità compatta. Questo odore riconoscibile e strano, sospeso nell’aria, è l’unica cosa interessante. La neve non mi piace e soprattutto non mi piace la montagna. I paesini come questo sono schiacciati nelle valli, compressi tra i monti che allungano le loro ombre nell’abitato privandolo della luce invernale già modesta.
Per arrivare fino a qui, alla casa con il caminetto acceso, Anna ha indossato le ciaspe nuove. Le sue “ciaspe da uomo”. Quando si è recata nel negozio di articoli sportivi la commessa le ha chiesto: “Per chi sono le ciaspe?” “Per me”, ha risposto Anna che è alta un metro e ottantacinque. “Delle ciaspe da uomo!”, ha concluso la commessa con tono saccente.
“Il matto…” Il padre di Roberto ha uno stile tutto suo nel narrare i fatti. E deve farlo tra un’interruzione e l’altra perché la sua casa dai pavimenti in legno è invasa da un mucchio di bambini che corrono e gridano in preda all’euforia. Siamo attorniati dal chiasso scoppiettante di risate, capriole, giochi sfrenati e colori sgargianti.
Sono gli esseri di un altro pianeta questi che hanno popolato la casa dal caminetto acceso e dai rassicuranti pavimenti di legno, accorsi per dare il benvenuto al nuovo arrivato. C’è il bambino senza ruote che rimane inchiodato nella sua postazione davanti alla ciotola di patatine, la bimba meccanica che digrigna i denti per spaventare con la sua ferraglia da bocca, il ragazzino ikebana che ha insperabilmente scoperto i trucchi e la cipria della mamma e non disdegna di provarli sul suo viso, la sorella automatica che ha imparato un’odiosa filastrocca e la ripete a pappagallo ai suoi compagni e con un certo gusto da quando si è accorta che disturba e irrita gli altri.
La mia sciarpa ed io siamo venuti ufficialmente in visita, vogliamo rendere omaggio a questa natività. L’ho indossata apposta, la mia sciarpa multicolore, un metro e passa morbido e caldo di verde viola nero blu rosa che si rincorrono e si ripetono, un metro e passa morbido e avvolgente che mi è costato quasi quanto la giacca a vento. Che non sfiori il pavimento, che non venga maneggiata da uno sconosciuto, che non rimanga mai incustodita la mia diletta!
La mia sciarpa ed io ci muoviamo insieme. È meglio.
“Il matto non dava segni di vita…” I genitori di Roberto mi raccontano il suo difficile arrivo sulla Terra. Il padre riesce a ironizzare sui momenti più drammatici del parto. Il matto, il tizio di cui parla come fosse una barzelletta, sarebbe suo figlio. Il suo primo figlio. Ma la storia è già un ricordo lontano, da dire col sorriso: i primi dieci giorni da genitore sono impegnativi e sconvolgenti come poche altre cose nella vita. Sono un’avventura così totale e appagante da far impallidire i dolori e le ansie del processo precedente.
Rido per il modo in cui il padre di Roberto si rivolge al neonato. È un esserino minuscolo e silenzioso Roberto: quando lo prendo in braccio non smetto di osservarlo. Tiene gli occhi ermeticamente chiusi e ha un respiro leggero: chissà a che cosa pensa. A dieci giorni di vita si sogna già? Mi dicono tutti di no ma io non ne sono affatto convinto. Peccato non averne memoria, da adulti, di ciò che ci passa per la testa quando siamo al mondo da una settimana e mezza.
Ecco qualcosa che varrebbe la pena raccontare: le sensazioni dei primi dieci giorni di vita di una persona. Questo può essere il soggetto per una storia potenzialmente rivoluzionaria.
Vorrei che gli scienziati inventassero un sistema per poter registrare e poi decriptare quel che percepiscono e vivono i neonati all’inizio della loro carriera da esseri umani. È frustrante che i ricordi ci emergano frammentati solo da una certa età in su.
Io vorrei sapere cosa pensi tu, caro Roberto, mentre ti tengo in braccio. Non riconosci il mio odore, non riconosci la mia voce perché non sono quelli dei tuoi genitori. Non mi vedi perché i tuoi occhi stanno chiusi e, aperti, non mettono a fuoco. Il mio corpo cosa ti trasmette? I battiti del mio cuore ti rasserenano o ti innervosiscono? Ti piace la mia sciarpa?
Mentre restituisco Roberto alla sua mamma i bambini strillano eccitati che è ricominciato a nevicare. Guardo fuori dalla finestra i fiocchi che scendono e invadono tutto. E mi sembra quasi che, malgrado il sole sia calato da parecchio tempo ormai, come cala sempre in montagna, quel bianco umido e silenzioso stia rischiarando l’aria e gli arcani sentieri del paesino.
