Anni fa ho scritto un breve racconto. Parla di un posto come un altro, un angolo d’Europa qualsiasi, in cui nel tempo si sono alternate varie vicende. Invasioni, guerre, lotte per il potere. Poi sono arrivati i compromessi e la pace, e poi ancora scontri. A ondate. Momenti che si sono ripetuti e che poi sono finiti, e di tutto ciò oggi rimane un monumento a ricordo. Insomma la Storia, a voler essere concisi. Ricordo che avevo cercato di evitare la retorica, ma non so se ci sono riuscito.
Questo testo nel 2011 ha vinto il Premio Hist(o)ria Slam in Istria, Croazia.
In questa giornata strana e non bella mi va di riproporlo.
Corrado Premuda
UN MEMORIAL DI PRESENZE
Premio Hist(o)ria Slam 2011
Risuonano ancora, passi pesanti e sordi, colpi, che schiaffeggiano l’aria ferma. Eccoli: passano i generali. Tutt’attorno lo spazio si riempie dell’odore intenso che sale dai campi, dalle vigne. L’umidità ha i minuti contati: tra poco il tempo cambierà e l’aria secca da nord-est scenderà implacabile a mutare gli umori.
Nelle luci del tardo pomeriggio, che già promette colori spettacolari alla linea d’orizzonte, pare di veder passare tante ombre di carta, figure piatte, a due dimensioni, comparse improvvisate chiamate all’ultimo momento per ripopolare un luogo che troppo spesso si è voluto rendere deserto.
La folla si accalca allora intorno alle mura, sale con vigore i gradini per poi ridiscenderli senza una vera ragione. La villa sarà infeudata dal patriarca. Forse sarà lui a concederci uno statuto. Non è escluso un interesse diretto da parte di Sua Santità. Ma è una folla inutile che non impressiona nessuno, è come la proiezione muta di un traballante filmato in bianco e nero dove la gente entra ed esce di continuo da una stazione della metropolitana. Ognuno ha una meta ma a guardarle così sono figure monche in movimento che s’incamminano verso il nulla.
Il vento è arrivato e in un attimo i suoi rantoli sibilanti impongono un nuovo ritmo al via vai delle presenze. Qui ogni cosa è stata già danneggiata e già ricostruita, ogni accesso è stato proibito e ogni divieto violato. Di tanto in tanto i pastori continuano a sconfinare nei territori vicini: nessuno insegna alle capre a brucare solo dove è concesso. Gli antichi nemici si sono alleati contro nuove minacce, mostri fantomatici sono stati inventati ad arte e poi catturati e sacrificati, per il gusto di avere qualcuno da incolpare per quel generale malumore.
Forse è il passare del tempo ad appiattire ogni singolo evento, certo se si scatenasse un altro scontro per riconquistare una terra persa, non sarebbe diverso dall’ennesima immagine impressionante trasmessa in televisione.
Le armi e le insegne sono cambiate, una lingua si è sovrapposta all’altra, la storia ha girato un’altra pagina ma il mosto a settembre ha sempre lo stesso odore, il suono sull’acciottolato rimane quello che abbiamo imparato a conoscere, i profili delle presenze continuano ad affaccendarsi nelle medesime monotone attività.
Si può tornare a vivere in un castello? Si può riprendere a pregare in un convento? Una qualunque bottega può ancora produrre gli stessi cibi per sempre?
Sono i padroni a dettare le regole e a imporre i cambiamenti. Se un turista è il nuovo padrone, è giusto che tutto rimanga immutato e vuoto, è giusto erigere un memorial sul luogo in cui un tempo bruciava la vita. Una targa solenne ricorderà date, nomi, periodi storici.
Il canto di una donna sembrerà sussurrare: Qui sono passata anch’io. Cercavano un colpevole, una vittima da immolare, e la mia veste risplende così bene tra le fiamme. Ma è un canto materno d’amore o una maledizione pericolosa? È una voce che annuncia la fine o un richiamo affinché tutto ritorni alla vita?
L’ultima ombra della sera, spinta a forza in scena dal vento impetuoso, scivolerà nel centro della piazza, pronta per tirarsi dietro un sipario che concluda la solita rappresentazione della memoria. Ma il vento è troppo aspro, se ne infischia dell’emozione a pagamento del pubblico. Sembra insistere, scocciato, a rivendicare il suo dominio sulle strade abbandonate, sulle case, sui terreni feudali, su tutta l’antica contea. Il suo soffio s’infila ovunque, libera ogni pietra da qualsiasi traccia di una presenza.
Tutto torna com’era, come non è mai stato. Una visione, un luogo irreale.
Grazie per l’attenzione, signori. Nell’auricolare tace anche la voce della guida.
