Ipse dissing

Lo chiarisco subito, a scanso di equivoci.

Il rap non è la mia musica, il mio stile, il mio mondo. Non è nemmeno il mio modo di comunicare, la mia ritmica, il mio tempo. Non mi piace particolarmente e diciamolo con onesta serenità: ci capisco un cazzo.

Un paio di giorni fa, sono stato folgorato dalla bravura di ragazzi della mia scuola che si sono sfidati in una gara di testi rap. Ho assistito e giudicato un contest meraviglioso, frutto dell’intuizione dell’amico e collega Corrado Premuda: ha colto l’importanza di farli esprimere attraverso il linguaggio che più sentono proprio, che più li unisce, che più li esalta. Ragazze e ragazzi in classe timidi, svogliati, sempre sull’orlo di una crisi di sonno, si sono letteralmente trasformati in protagonisti del loro piccolo quotidiano.

Hanno scritto testi piacevoli e sensati, hanno usato ironia e tecnica, rime e ritmi. Si sono sfidati in un dissing finale che mi ha lasciato a bocca aperta. E non solo per la quantità e la qualità delle parolacce.

Soprattutto, si sono appassionati.

Erano appassionati.

Erano appassionanti, anche.

E la loro passione mi ha toccato a tal punto da aver scritto poche righe di getto, con il loro stile e le mie parole.

Per ringraziarli e complimentarmi con loro.

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